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“La dinamica morta dei salari”: Terranova denuncia il problema dell’area iblea

Forse non stupirà nessuno, ma forse a qualcuno si. Ma qui nel nostro territorio ha preso piede da tempo una consuetudine secondo cui i lavoratori percepiscono il salario sempre nella seconda metà del mese successivo rispetto a quello in pagamento. Il salario, contrattualmente, in base alla gran parte dei Contratti nazionali, dovrebbe essere pagato entro il 10 del mese successivo. Le aziende, bontà loro, si prendono almeno altri dieci giorni e pagano tra il 20 e il 22 del mese seguente.

È un comportamento non rispettoso, che mette ulteriormente in difficoltà il lavoratore, già spesso colpito da un salario basso, da una retribuzione dallo sviluppo bloccato, se paragonato al lavoro che lo stesso svolge e alla sua qualità. E che determina una condizione di penuria economica, peggiorata ulteriormente dalla impennata inflazionistica e del carovita, che sul lavoratore amplifica la propria marginalità sociale e di prospettive.

Sappiamo tutti che da trent’anni a questa parte i salari in Italia non sono cresciuti, mentre, in questo lasso di tempo, in altre Nazioni i salari si sono impennati anche del 30%.

 In Italia, invece, la dinamica salariale è  andata contraendosi, e, dal canto suo, il nostro territorio non fa eccezione, è in linea con questo indietreggiamento retributivo nazionale, quando non si attesta su condizioni ancora peggiori.

Che ci scontriano nel nostro territorio con salari contenuti, ritagliati sulla base di accorgimenti ben pensati, spesso sotto il minimo, penso oramai sia una questione di cui tutti abbiamo consapevolezza, in primo luogo i destinatari, ma anche chi li determina con scelte fiscali e con scelte interne alle aziende.

Non è un fatto sporadico venire a contatto con salari pagati in ritardo, allestiti alla meno peggio, in agricoltura, lungo la sua filiera, in quella agroalimentare e zootecnica, nell’artigianato. In queste realtà la dimensione del salario dignitoso è ancora, se ci è consentito dirlo così, un sogno nella testa di tantissimi lavoratori, ma non nella priorità dei governi e delle aziende.

Fare uno scandaglio serio di ciò che è l’universo del salario in provincia di Ragusa, valutandone bene evoluzione o involuzione, specificità e modello, costituirebbe già di per sé una immersione nella consapevolezza di una realtà che non riesce, nonostante i suoi tanti pregi, a fare progredire la dimensione emancipativa del lavoro e del salario ad esso riferito.

Come è  facile intuire, pagare in ritardo di almeno 10 giorni rispetto alla previsione contrattuale,  salari per giunta da decenni asiatici e rachitici, fermi al palo, prefigura uno scenario in cui il lavoro perde la sua connaturale essenza relazionale e sociale e diventa merce da far deperire, alla stregua di qualsiasi altro prodotto. 

Questi sono i due punti essenziali, pagamento puntuale e ampliamento della dimensione economica del lavoro, da cui si deve partire per imprimere una tendenza evolutiva ed espansiva al nostro territorio. Pensiamo sia una scelta obbligata,  per  tentare di sbloccare una dinamica che comprime la società nella sua parte maggioritaria e a vantaggio solo di una piccola minoranza, che per giunta ha ricevuto e riceve la gran parte degli incentivi che lo Stato destina al mondo del lavoro. Anche qui le aziende la fanno da padrone, nel senso che a loro vanno fiumi di risorse pubbliche a fronte delle quali quelle assegnate ai lavoratori sono risibili.

Ci sembra che sotto questo aspetto il nostro territorio è sordo, non sembra essere interessato alla gravità di questa dimensione amputata del rapporto che il lavoro dignitoso accompagnato da retribuzioni dignitose dovrebbe avere con il contesto di una società progredita e degna di essere vissuta.

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