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Cronaca

L’inferno in mare. “Ho visto tanti morire di fame e sete”

Hanno visto morire di fame e di sete sei compagni di viaggio i 26 naufraghi arrivati a Pozzallo lo scorso 12 settembre ai quali un team di Medici senza frontiere ha fornito in questi giorni supporto psicologico. Dopo lo sbarco quindi il dramma nei racconti di chi era su quel barcone in avaria per un guasto al motore ed in balia delle onde  da ben due settimane.

Non hanno mangiato né bevuto per oltre una settimana e per questo sono morti tre bambini, tra cui un undicenne in viaggio senza genitori, e tre adulti. “Quando siamo arrivati nell’hotspot di Pozzallo molti dei sopravvissuti erano ancora in stato confusionale, sotto shock, altri non riuscivano ancora a realizzare di non essere più in mare” racconta all’AGI Mara Tunno, psicologa di Msf. “La prima cosa che abbiamo fatto è stato fargli realizzare di essere sulla terra ferma, di essere salvi, di essere vivi. Abbiamo chiesto loro di scegliere cinque cose da toccare, sentite o odorare e  ci hanno risposto che sentivano soltanto il sapore dell’acqua del motore della barca”.

C’è ancora paura sui loro volti. “Dopo tutto questo orrore, ho il terrore che sarò respinto indietro e che tutta questa sofferenza sia stata un viaggio inutile”, ha detto un ragazzo di 17 anni. A bordo, dopo aver visto morire diverse persone, “ci chiedevamo tutti quando sarebbe arrivato il nostro turno” racconta una delle persone sopravvissute. “Abbiamo iniziato a pregare aspettando la morte. Uno di noi si è coperto il viso con quello che ha trovato. Si preparava a morire”.

“A bordo con noi c’era un signore con due bambini molto piccoli, che erano sul punto di morire per la fame. Così ho offerto loro il mio cibo per farli rimanere in vita”, ha raccontato un altro dei superstiti.

“Nonostante il cibo, i bambini non ce l’hanno fatta. A un certo punto anche mia moglie si è sentita male ed ero convinto che sarebbe morta. Ho pensato al cibo che avevo dato a quei bambini, non aveva salvato loro e non avrebbe più potuto sfamare mia moglie”.

Completamente esposti al sole, le persone a bordo sono state trasportate dalle onde verso le coste della Libia. Già dopo qualche giorno di navigazione le scorte di cibo e di acqua stavano finendo.

“Per la disperazione abbiamo iniziato a bere acqua di mare, provando a filtrarla con i vestiti. L’abbiamo mischiata con il dentifricio per addolcirla e abbiamo bevuto l’acqua del motore pur di cercare di sopravvivere” racconta un ragazzo siriano sopravvissuto. “Ero consapevole che sarei potuto morire bevendo quell’acqua, ma non avevamo altra scelta”.

A bordo serviva acqua anche per poter deglutire medicine salvavita. Non si è salvata Nour, invece, una signora anziana che soffriva di ipertensione. La terapia non ha fatto effetto vista la mancanza di medicine.

Dall’inizio di quest’anno, oltre mille persone sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo e più di 15 mila sono state intercettate e respinte arbitrariamente in Libia, anche se probabilmente i numeri sono molto più alti. Tutto questo è inaccettabile. Medici Senza Frontiere chiede al governo italiano e agli stati europei di “non ignorare le loro responsabilità: è necessario ora il ripristino di un sistema di ricerca e soccorso in mare”.

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