Ancora un grande classico, ancora un appuntamento apprezzato dal pubblico nell’ambito della stagione di prosa di Teatro in primo piano ospitata al Duemila.
Sabato sera è stato proposto un caposaldo della drammaturgia del Novecento come “Pensaci, Giacomino!” di Luigi Pirandello, con il sempreverde Pippo Pattavina nelle vesti del professor Toti e Guglielmo Ferro alla regia, un binomio ormai consolidato nel rappresentare il repertorio del grande scrittore. In primo piano una critica profonda delle convenzioni sociali, dell’ipocrisia, delle maschere con cui la gente comune traveste la propria assenza di principi etici.
Pattavina ha saputo incarnare al meglio le emozioni profonde di un personaggio, il professor Agostino Toti, che cerca di dare un tono alla propria esperienza.
La commedia, scritta nel 1916, riprende i tipici temi pirandelliani che emergono con evidenza nell’opera, cioè i paradossi esistenziali dell’individuo – ipocrisia, maschere sociali, crisi di identità – e i conseguenti dilemmi che nascono dalle sanzioni da parte della società.
Nella pièce, infatti, il professor Toti, insegnante ginnasiale piuttosto anziano e screditato agli occhi di alunni e colleghi, si sente impossibilitato nel continuare a insegnare e cova del risentimento nei confronti della società. Per ottenere una rivalsa nei confronti dello Stato a cui egli pensa sia dovuto il suo fallimento, prende per moglie una ragazza molto giovane di umili condizioni di nome Lillina che però è incinta di un giovane del paese, Giacomino.
Nonostante ciò, questo aspetto così grave per le convenzioni sociali dell’epoca non distoglie Toti dal suo proposito, né sembra preoccuparlo.
Una interpretazione molto apprezzata dal pubblico presente. Il regista Ferro non ha dubbi: “Toti non appare come un vinto, né una figura triste o malinconica, di vecchio ingrigito dai propri pensieri. È anzi l’unico che esce vincitore in una guerra dalla quale tutti escono sconfitti; il più intelligente, in fondo, quello che sente di poter scegliere, di essere padrone della propria vita, delle proprie certezze, dei propri errori, pronto a pagare, a sentire tutto sulla pelle con coraggio. Non è il candore senile a impegnare il personaggio, ma l’acutezza mentale, il profondo rigore etico, la coerenza tagliente, quello che infastidisce; perché fa pensare, perché mette di fronte ognuno di noi alla nostra ridicola apparenza di fantocci impegnati in rituali spogli di ogni significato, decisi da qualcun altro e accettati per comodità”.
